Megalomania e mitomania
(la mania di grandezza e la mania di esaltare se stessi)
Una lettrice mi scrive:
«Chiedo aiuto non per me, ma per mio marito. Vorrei sapere come convincerlo che ha un grave problema psicologico e che dovrebbe rivolgersi a uno specialista. Io, nonostante tutto il mio amore, non sono riuscita né a farlo riflettere, nè tanto meno a farlo cambiare.
Mio marito non ha mai voluto fare nessuna visita specialistica. Io, da sola, informandomi, ho capito che è affetto da dislessia e disfonia. Questa sua condizione, negli anni, lo ha reso insicuro e insoddisfatto di se stesso, portandolo a compiere gesti che mettono a rischio la nostra vita familiare.
Racconta a tutti un sacco di bugie dalle più piccole alle più grandi. Racconta di essere ricco, straricco (e invece siamo pieni di debiti), allo scopo di apparire grande, il numero uno in tutto. Regala di tutto a tutti: vuole sentirsi dire che è bravo, buono, generoso, che lavora tanto. Fa promesse che non riesce a mantenere, quindi alla fine è costretto a ingannare: siamo in causa con quasi tutte le persone con cui è venuto in contatto: lo minacciano di morte, minacciano anche me.
Lavora in proprio, ma ogni due mesi cambia settore, sa fare tante cose, ma il fare tanta fatica a leggere, scrivere, parlare e capire quello che gli si dice lo porta a mettersi nei guai, a non ammettere mai un suo errore, mai. E piuttosto che sottoporsi ad una visita psicologica che gli avrebbe consentito di rivedere la figlia avuta dal precedente matrimonio ha rinunciato a questa figlia, a cui pure teneva tantissimo.
Le bugie le dice anche a me, anzi soprattutto a me, che sono diventata un investigatore privato, che cerco di correre ai ripari prima che lo denuncino. Oggi dopo le ultime cose che ho saputo penso che sarebbe mio dovere chiedere l'interdizione mentale perché non è giusto che sapendo come è fatto lui rischi di farsi accoltellare dai rumeni a cui deve rendere dei soldi. Cosa posso fare? Aiutatemi per favore!»
La patologia descritta da questa donna nella sua drammatica lettera è complessa e soprattutto di non facile guarigione, perché in genere per la persona che ne è affetta (una persona come il marito della lettrice) l’idea stessa della cura si pone come una intollerabile umiliazione, tale da indurre rabbia, confusione e sovente grave depressione.
In essenza, si tratta di una patologia dell’immagine di sé, una patologia di ciò che in psicoanalisi va sotto il nome di ideale dell’io, che è quel sentimento e quella percezione di se stessi che si vorrebbe avere per sentirsi adeguati sia alla oggettiva realtà sociale, sia al sistema soggettivo dei valori e dei giudizi.
Tormentato dall’immagine di sé, costretto a mentire per mostrarla grande, l’individuo descritto dalla lettera ci appare coinvolto in una drammatica lotta con se stesso e con gli altri per dimostrare che di lui si dovrebbe avere un’opinione (un’immagine) elevata e lusinghiera.
Dice infatti la donna: "[Mio marito] racconta a tutti un sacco di bugie dalle più piccole alle più grandi. Racconta di essere ricco, straricco (e invece siamo pieni di debiti), allo scopo di apparire grande, il numero uno in tutto. Regala di tutto a tutti: vuole sentirsi dire che è bravo, buono, generoso, che lavora tanto. Fa promesse che non riesce a mantenere, quindi alla fine è costretto a ingannare". La descrizione è sintetica e precisa.
La patologia descritta è una micidiale miscela di Megalomania, la mania di grandezza, e di Mitomania, la mania di mentire a scopo di esaltazione psicologica di sé.
La megalomania è di solito una patologia più che evidente a buona parte di coloro che condividono col soggetto la sua vita privata. Sia perché la persona che ne è affetta si chiude in un mondo tutto suo, che finisce per danneggiarlo, rendendolo una persona fragile e patetica, sia perché sovente egli, per corroborare le sue fantasie o i suoi progetti, compie degli atti che finiscono per mettere nei guai proprio coloro che gli sono più affezionati o che, per leggerezza, si fidano di lui.
Tuttavia, per quanto grave ed evidente agli altri, la condizione patologica di megalomania è dal soggetto stesso ostinatamente negata, per via dell’insopportabile angoscia collegata al prendere coscienza d’essere un malato, un «menomato». Questa negazione fa sì che l’aspirazione alla grandezza venga rilanciata all’infinito, trasformandosi sempre più in una sfida paranoide contro il tempo, contro gli altri e contro il destino.
Pertanto, nonostante il megalomane viva in apparenza in una condizione di sicurezza emotiva e di esaltazione di sè, la sua megalomania nasconde un aspetto molto insidioso: il terrore del crollo depressivo.
Il megalomane vive in uno stato di eccesso maniacale permanente, cioè di esasperato entusiasmo e di esagerato apprezzamento di sé, perché intuisce che al di sotto di questa sottile lastra di ghiaccio si cela l’abisso della devastazione depressiva.
In realtà egli ha una stima di sé bassissima, collegata ad antiche percezioni primarie (giudizi negativi da parte dell’ambiente, modelli di riferimento posti come inarrivabili o anche la coscienza primaria di deficit e handicap, accompagnati dalla derisione, dal disprezzo o dalla compassione altrui). Quindi egli vive da leone, in fuga continua dalla coscienza di sé, che vorrebbe rigettarlo a contatto con la sua immagine interna negativa.
Con gli anni, il megalomane associa a questa immagine interna negativa un angoscioso bisogno di punizione, dovuto sia all’antico disprezzo di sé, che ai sensi di colpa maturati nel corso della vita per via dei suoi sleali e pericolosi comportamenti. Il bisogno di punizione si struttura allora in un masochismo morale, un «volersi male» che lo minaccia di annientamento. In quest’ottica e in questa fase della malattia, i conflitti che egli riesce a procurarsi hanno come segreto fine quello di causare la propria distruzione.
La mitomania (o pseudologia) è una sottile variante della megalomania. Mentre il megalomane ha il bisogno di esporre di continuo i suoi progetti alla prova di realtà (ricavandone guai a non finire), il mitomane, esperto nella suggestione e nell’inganno, evita di esporsi al crollo depressivo che può sortire dal deludente impatto con la vita reale.
Egli preferisce fasciarsi di fantasie, ingannare sistematicamente gli altri eludendo ogni possibile confronto; ma alla fine la vita reale o comunque quella psicologica gli chiedono un conto che egli non è mai in grado di pagare.
A questo punto il suo destino è in tutto identico a quello del megalomane: l’esaltazione maniacale di sé cede alla più nera depressione, oppure, in casi non poco frequenti, subisce ad opera della realtà una punizione terribile (fallimenti economici e affettivi, denunce e beghe giudiziarie o, se va male, malmenamenti e persino uccisioni).
Soluzioni? Prima o poi il maniacale va in stress, diventa abulico o finisce in depressione. E’ a questo punto che bisogna suggerirgli e anzi imporgli la psicoterapia.
Se egli invece non ha un crollo psicologico, ma piuttosto eleva la sua sfida col mondo mirando in tal modo a farsi dei nemici e a farsi fare del male, occorre insistere ossessivamente nel segnalargli che egli non solo sta vivendo una fuga esaltata e maniacale da se stesso, priva di equilibrio e di gratificazione, ma sta anche cercandosi una punizione risolutiva, che può talvolta coincidere con la morte.
La psicoterapia dovrà allora avere diverse mete tra loro collegate.
- In primo luogo, dovrà scoprire la genesi dell’immagine di sé negativa, se essa cioè affondi negli anni di formazione dell’identità personale, oppure in una ideologia della grandezza individuale che tormenta il soggetto e in rapporto alla quale egli si sente e si sentirà sempre ridicolmente piccolo.
- In secondo luogo, dovrà risolvere l’impotenza psicologica causata dall’immagine di sè negativa, che di solito comporta la paralisi delle proprie volontà e azioni nel mondo o una iperattività maniaca tesa al riscatto grandioso di sè, quindi comunque un sistematico difetto di misura.
- In terzo luogo, la psicoterapia dovrà risolvere la radicata dipendenza del soggetto dall’opinione altrui (portata dentro di sé): il suo drammatico attaccamento ad un ideale sociale interiorizzato e, più in generale, al giudizio sociale tout court, di cui egli è, in fondo, un’inconsapevole e patetico schiavo.
- Infine, la psicoterapia dovrà porsi - per quanto possibile - il problema dell’impotenza pragmatica, reale, causata dalla prolungata assenza di rapporto fra il soggetto e il mondo. Più le nostre angosce e le nostre illusioni ci allontanano dal confronto con le cose reali, più cresce un’impotenza reale, oggettiva: una effettiva ignoranza e inesperienza delle cose del mondo.
Piccola appendice teorica (per specialisti)
Dal punto di vista della diagnosi, il mai abbastanza deprecato DSM IV classifica megalomania e mitomania fra i disturbi narcisistici o fra quelli istrionici della personalità. Sul piano del linguaggio corrente (e corrivo) ciò è accettabile: il narcisista è colui che ha la sua immagine come preoccupazione principale; l’istrionico è colui che nell’interazione sociale vuole imporre la sua immagine come "unica" e positiva. Fin qui niente di male: megalomane e mitomane hanno tratti dell’uno e dell’altro, hanno qualcosa di narcisistico e qualcosa di istrionico. La classificazione ha un sapore vagamente "divulgativo", ma accettabile. Purtroppo, è sul piano della spiegazione della genesi (etiopatogenesi) e sul piano della prospettiva di guarigione (prognosi) che il DSM IV prende clamorosi abbagli.Per il DSM IV, infatti, queste patologie risultano poco definite sul piano della genesi, collegate a causalità biologiche o comunque "arcaiche", "primitive" (cioè, come dice una pessima psicoanalisi "orali", dunque imparentate con la psicosi) e perciò poco o punto curabili. Simili rozze classificazioni fanno rimpiangere il passato: dal punto di vista della trattatistica, la Psicopatologia Generale di Karl Jaspers (del 1913) è tuttora di gran lunga preferibile a tutti i DSM che si sono succeduti negli anni.
Personalmente, sulla base del mio approccio psicodialettico, classificherei questi disturbi come a metà strada tra le strutture isteriche e quelle depressivo-maniacali. Ma, in via di ipotesi lessicale (e a titolo più che altro di provocazione), proporrei una distinzione diagnostica ancora più sintetica.
Poiché considero il conflitto psicologico la base della psicopatologia, distinguerei fra personalità che vivono tale conflitto attraverso l’immagine (immagine sociale, visibile agli altri) e quelli che lo vivono all’interno di sé, sorvegliando e monitorando la propria interiore identità morale. Dunque parlerei di eidopatie (dal greco eidos, immagine, da cui l’italiano idea o anche idolo), e di etopatie (dal greco ethos, comportamento morale, da cui l’italiano etica). Nelle eidopatie risolvo il concetto di isteria e di maniacalità, caratterizzate da dubbi inerenti l’apparire; e nelle etopatie le sindromi ossessive e le depressive, incentrate su dubbi sulla propria qualità o condotta morale. Ovviamente, non le considero entità discrete, assolute, bensì strutture fluide e interconnesse, ed inoltre entrambe sostanzialmente curabili. (DEDICATO KAKKA_ROMA E CONSORTE ALIAS: POMPINO.)
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